domenica 30 maggio 2010

Non piangere, Zucchero. Non c'è uomo che lo meriti

Fino a non molti anni fa, sebbene ormai sembrino passati decenni, d'estate, verso metà luglio, venivo impacchettata e mandata in colonia in Trentino.
Quando si frequentano certi luoghi, in cui la vita si svolge in comunità, si iniziano a creare delle consuetudini, degli scambi di battute, che sono sempre gli stessi, e che fanno sempre ridere. Tra questi, ne ricordo uno in particolare, tratto dal mitico A qualcuno piace caldo, di Billy Wilder. Io facevo Tony Curtis, lei Marilyn Monroe.
Giovedì scorso, tra un pensiero e l'altro, scavando un po' nella memoria e cercando di atteggiarmi da icona, come mi piace tanto fare, ho postato su facebook una delle battute del film: "Non piangere, Zucchero. Non c'è uomo che lo meriti". Saranno trascorsi circa un paio di minuti, prima che mi vedessi rispondere così da un nome a me familiare: "Anche lei portava gli occhiali...".
Ecco un piccolo vantaggio dei social network. Una frase, un ricordo, un sorriso. E' stato piacevole, dopo tanto tempo.
D'altronde, A qualcuno piace caldo è già da sé un film ricco di aneddoti, oltre quelli che ha poi inspirato nelle nostre vite. Marilyn era incinta, e appiccicarono la sua faccia su altri corpi formosi per le locandine. I corpi, tra l'altro, erano di due delle Dame del ritmo di Susy, che ricordano ridendo l'esperienza, dopo anni, negli speciali del DVD.
Il costumista, mentre prendeva le misure ad una Marilyn Monroe con indosso nient'altro che una camicia, dichiarò che Tony Curtis aveva un culo più bello del suo. Cosa che, temo, non ci sarà mai dato modo di verificare, vista la scarsità di inquadrature del posteriore di Tony Curtis e l'abbondanza per quel che riguarda quello di Marilyn.
Uno di quei film per cui si potrebbero passare ore e ore a citare e raccontare. Ma se si vuole dirne una per tutte... be', nessuno è perfetto.

Casablanca

Ilsa, le cose da eroe non mi piacciono. Ma tu sai bene che i problemi di tre piccole persone come noi non contano in questa immensa tragedia. Un giorno capirai... Buona fortuna bambina!

1942. Humphrey Bogart è, come avrebbe detto Woody Allen trent'anni dopo, bassino e piuttosto bruttino. Ma è sufficientemente basso e brutto per poter aver successo per conto suo. Ingrid Bergman è splendida così, in bianco e nero. Che poi nero nero non è mai, ma sempre grigio. Sottigliezze.
Riescono a regalare al cinema una delle scene che ne avrebbero scritto la storia, probabilmente una tra le più citate in assoluto, tanto da divenire uno dei punti salienti in uno dei pilastri della mia cultura cinematografica, ovviamente alleniano-non poteva essere altrimenti.
Play it again, Sam, in italiano Provaci ancora, Sam, scritto e interpretato da Woody Allen ma diretto da Herbert Ross, ormai fa parte della mia biografia, e così sono stata costretta a prendere seriamente anche Casablanca.
Non mi è mai piaciuto Bogart. Per nulla. E Casablanca non è mai stato il mio genere di film. Eppure, quando ne ho l'occasione, lo riguardo. Come quella volta che lo davano in tv, non c'era nessuno in casa e io mi misi a lavarmi i capelli nel lavandino in cucina.
Credo di averlo sempre trovato piuttosto irreale. Nessuno lascerebbe mai andare Ingrid Bergman così, con un salame qualunque. Ma se lo fa Bogart, al pubblico si inumidiscono gli occhi, e le signore tirano fuori i fazzoletti dalle tasche.
Perché un gesto così deliberatamente drammatico? Perché trasformarsi da burbero che cura solo i propri interessi nell'eroe della situazione?
Bogart ce la fa, e diventa un classico. Più di sessant'anni dopo fanno fare qualcosa del genere anche a Batman, anche se con l'ago della bilancia spostato nell'altro senso, e la cosa appare originale. Ma non credo cambi veramente qualcosa.
Ci piacciono gli eroi travestiti da cattivi ragazzi, ci piacciono proprio, e, sebbene la formula non sia cambiata dagli anni '40, riescono ancora ad infinocchiarci. E ci piace.

giovedì 27 maggio 2010

Frankie & Johnny

Una classica canzone popolare americana, di cui non esiste versione definitiva. Elvis la cantava, interpretando la parte di Johnny, in un celebre musical del 1966. La storia, che pare essere tratta da un fatto di cronaca, anch'esso diffuso in più varianti, cambia a seconda di chi la interpreta. La versione che piace a me però è questa: lui la tradisce, lei gli spara. Una, due, tre volte.
He was her man,
but he was doing her wrong.
Nel 1987, la canzone ispira uno spettacolo di Terrence McNally, Frankie and Johnny in the Clair de Lune, che nel 1991 diviene un film con Al Pacino e Michelle Pfeiffer, intitolato più semplicemente Frankie & Johnny. In Italia viene presentato nelle sale come Paura d'amare, poiché probabilmente in pochi avrebbero colto il legame con la canzone, che non appartiene alla nostra tradizione musicale, e quindi è praticamente sconosciuta.
Il film, comunque sia, arriva in Italia, e diviene uno dei preferiti di mia madre, e, come da regola, mi viene passata la staffetta.
Dopo aver scoperto eMule, l'ho rivisto spesso. Anzi, in questo periodo costantemente. Ed è curioso vedere come cambino le mie reazioni a seconda dell'umore, specie alla frase di chiusura, "per sempre e malgrado tutto". Nella vita reale non si può credere ad una cosa del genere, anche se viene quasi da sperarci. E poi, Al Pacino ha un fascino irresistibile.
Adesso sono fermamente convinta che se si ha un VHS funzionante non serva avere un uomo, che le scarpe d'oro siano causa di eiaculazione precoce, che una patata scolpita, tinta di rosso e legata ad un gambo di sedano sia una rosa coltivata in cucina, che ci si possa prendere una cantonata per qualcuno che usi espressioni come "Con licenza parlando". Però continuo a chiedermi cosa mai Johnny abbia detto a Frankie al mercato dei fiori.

domenica 23 maggio 2010

Caduta di stile

Interessante vedere come alcune cose diano un totale, per quanto superficiale, senso di entusiasmo. Mi piace fare la superficiale, a volte. E' immediatamente gratificante, almeno finché riesci a non pensare ad altro. Non che possa funzionare alle lunghe, ma per la durata di un'uscita del sabato sera è più che sufficiente.
Per esempio, mi piacciono i miei leggins rosa fluo. Mi piace anche sgambettare in giro con quelli addosso, e dare l'impressione di avere avuto una rissa con un evidenziatore.
Quando vai in giro un'intera serata con qualcosa del genere addosso puoi anche evitare di farti troppe masturbazioni mentali, almeno finché non ti cambi.
La scorsa notte è stata una di quelle. E devo dire che ne avevo proprio voglia. Anche se non dura mai abbastanza.
Si è conclusa con una corsa verso la macchina, per evitare di prendere freddo, al suono di "ma perché dobbiamo sempre farci riconoscere?", e con una foto ad un sacco della spazzatura. Questo sacco della spazzatura:

Quando vedi un sacco della spazzatura e non puoi fare a meno di esclamare che ha una faccia, vuol dire che la situazione richiede una foto.
Penso mi servirebbero più momenti del genere. Di entusiasmo, insomma. Per le cose più nobili o più stupide, ma comunque entusiasmo.
Non dovrei aver necessariamente bisogno di leggins fosforescenti o di sacchi della spazzatura con la faccia per essere contenta. Dovrebbe essere una sensazione un po' più estesa, che riguardi più aspetti della mia quotidianità, e non solo l'eccezionale.
Si potrebbe dire, semplicemente, che è una questione di atteggiamento. E probabilmente, almeno in parte, è vero. Ma si potrebbero dire anche molte altre cose.
Si potrebbe parlare, per esempio, delle piccole cose che ci danno sicurezza. Dei gesti, delle parole, delle attenzioni. Di quello che si dà e di quello che si riceve. Dei propri spazi, degli spazi degli altri. Degli sforzi che vale la pena o no di fare.
Mi sento oltremodo retorica a fare certi discorsi. Retorica e ripetitiva. E polemica. E lagnosa. E, già che ci siamo, anche un po' rompicoglioni. Cose che mi scoccia profondamente essere.
Mi sento profondamente in colpa nei confronti di questo spazio, che temo stia precipitando a causa di questa mia clamorosa caduta di stile. E mi sento anche un po' in colpa nei miei confronti.
No, decisamente, non è qui che volevo arrivare.

venerdì 21 maggio 2010

...e l'altalena va giù

C'è un punto, uno solo, molto chiaro, a cui si riduce tutto questo. E ne abbiamo parlato, eccome se ne abbiamo parlato! Potresti immaginar perfettamente quello che sto per dire. Ma non lo farai.
Infantile trasformarlo in uno sfogo pubblico su un blog, sì, certo, infantile. Non c'è altro commento da fare, no? Ma vedi, c'è altro in realtà. C'è che forse ho bisogno di farlo questo sfogo, e ne ho bisogno adesso, in questo preciso momento, per evitare che quello che ho appena finito di mangiare mi si rivolti nello stomaco e si trasformi nell'insonnia di questa notte. E comunque, probabilmente non ti accorgerai neanche dell'esistenza di queste parole.
Non sono arrivata a questo punto per ritrovarmi da sola davanti a uno schermo, non una, ma centinaia di volte. Non ho cercato così faticosamente qualcuno per poi stare da sola. Specialmente adesso.
E in effetti, sai, forse così sola non sono. Perché ci sono persone, non qui presenti fisicamente né in questo né in molti altri momenti, proprio come te, che riescono comunque a tenermi compagnia, anche per pochi minuti. Che, qualunque sia il giorno della settimana, se hanno ne hanno voglia prendono il telefono in mano e fanno il mio numero, per il piacere di sentire una voce amica all'altro capo del filo. Per fare un sorriso dopo una giornata inequivocabilmente di merda, e cercare di scacciare per cinque fottuti minuti i brutti pensieri dalla testa.
Oggi voglio vivere senza rendermi conto.
C'è veramente una striscia di Quino per ogni cosa.
E, alla fine dei conti, stasera io sono qui. Sento tutto il peso del mio corpo, qui. E tutto il rumore dentro la mia testa. Qui. E sai, non ho proprio modo di mandarlo via in questo momento. Non posso non rendermi conto.
Questo spazio, questo stupido spazio nero su internet, a cui si può facilmente non fare caso, accidentalmente finisce col raccontare una storia, che può essere seguita da un osservatore esterno, mentre si svolge. E, sempre accidentalmente, questa storia parla di me. E' la mia. Io stessa l'ho scritta. E no, non ho fatto tutta questa strada per arrivare qui. Nemmeno volevo passarci di qui, non so veramente cosa io stia facendo. Qui.
E la cosa che mi lascia amaro in bocca più di ogni altra, è che so che non sono in grado di alzarmi ed andarmene, che tra sei mesi sarò ancora a questo punto, e starò ancora cercando di farmelo piacere. Ma credimi, non sarà così. Ma che vuoi farci, è un capitolo che ho già scritto una volta, aspetto solo che arrivi il finale. Te l'ho detto, non ho energia, non ne ho davvero. Aspetto che mi si stacchi la spina.
E tutte le cose, tutti i pensieri, tutte le migliaia e migliaia di parole che mi si stanno riversando nella mente, secondo dopo secondo, non ce la faccio, non posso spiegarteli. Condividere non è ciò che si fa con un link su facebook. E non è così immediato.
Per rispondere nuovamente alla tua domanda, sì, di ubriacature di parole si può vivere anche un anno, e si può credere che siano veramente ciò che conta. Ma questa sensazione ormai la conosco. Non mi sazia.
E ora, di' pure che sono infantile. Io qui ho finito.

Scritto dall'altalena che va su e giù

E' venerdì. Di nuovo.
Domani non mi devo alzare, domani non avrò nessun impegno particolare prima di sera. Posso dormire fino a mezzogiorno, all'una, alle due, alle tre anche.
Che ci faccio allora stasera, qui, da sola, davanti ad un pc-di nuovo?
Curioso come certe cose fatichino a cambiare. Curioso il significato di certe parole, anche. Curioso come ciò che a volte si dice possa significare tutto, o, più probabilmente niente.
Potrei non trovarmi qui, ora. Potrei, appunto. Ma ho scelto di fare di oggi un giorno esattamente come gli altri, per guardare ancora il mio umore che fa su e giù, senza alcun motivo apparente.
Comincio a trovare ironica questa situazione. Davvero. Il fatto è che ha perso completamente quella parvenza di senso che le era rimasta.
Diffido totalmente della mia capacità di prendere vere decisioni su tutto ciò che possa coinvolgere il sentimento. Sentimento.
Interessante. E' completamente dominato dal mio umore, e il mio umore è completamente dominato dai miei livelli ormonali. In pratica, quindi, i miei sentimenti sono dosati in una confezione di pillole. 28, per l'esattezza.
Ora potrei disegnare un grafico delle mie reazioni emotive, calcolarle, trasporre il tutto in uno schema, così da non far stupire più nessuno, da non essere più un rompicapo. Sempre che il capo si rompa.
Io continuerei comunque alla stessa maniera, non cambierebbe l'andare dei miei pensieri, né le sensazioni. Continuerei su quest'altalena, e le cose non si chiarirebbero, né ci sarebbero vere soluzioni.
Questo è ciò che mi è sempre maggiormente dispiaciuto del mio funzionare a cicli. A un uomo non potrai mai dire che è la sindrome premestruale.

mercoledì 19 maggio 2010

Scatto

Buio.
No, non esattamente.
Le serrande sono quasi del tutto chiuse, trapassa appena un filo di luce dai forellini. Luce gialla, mi pare. O più probabilmente arancione. Meglio arancione, mi piace di più. Io odio il giallo.
Non sento poi così caldo. Ma almeno non sto tremando.
M. suda, invece. Come quando dormiamo insieme. Io divento calda, e lui suda.
Suda, e mi rimane appiccicato alla pelle. E poi inizia a filtrare all'interno.
E' un odore strano. E' quello che rimane togliendo il dolciastro delle bombolette che si spruzza addosso, l'alone delle magliette sotto le ascelle e i calzini che camminano da soli. Fondamentalmente, è puro ormone.
C'è silenzio ora. O almeno, mi ricorderò di questo momento come di un silenzio. Uno di quelli buoni.
Mi fermo. L'occhio si posa per un istante sullo schermo spento del computer. No, non sullo schermo. Sull'immagine riflessa sullo schermo spento del computer.
Una sagoma quasi del tutto in ombra, schiena diritta, capelli raccolti, treccine e dreads che scendono sulle spalle. Nient'altro che pelle su tutto il corpo.
Va bene, un momento di puro narcisismo è concesso a tutti, anche solo per autocompiacimento.
"Aspetta,-dico-prova a spostare la mano... no, non così, aspetta, aspetta... ecco, perfetto! Verrebbe una foto perfetta! Non c'è mai un fotografo quando ne hai veramente bisogno!"
E forse, è anche meglio così.

martedì 11 maggio 2010

Odissea universitaria

Come alcuni di voi sapranno, capita di frequente che gli studenti del primo anno decidano di cambiare facoltà.
In realtà, gli unici a non sapere niente a riguardo sembrano essere i genitori, ma probabilmente solo per difficoltà pratiche.
Ad ogni modo, il fatto resta: non tutti hanno le idee chiare fin da subito. Basti pensare alla facoltà di architettura: quest'anno circa 1200 studenti, se le mie fonti sono esatte, hanno fatto il test d'ammissione, con soli 300 posti disponibili. Di questi 300, sempre in base alle mie fonti, circa due terzi si sono ritirati al primo semestre. Il che è tutto dire.
Questa breve introduzione è per dire, semplicemente, che io sono una dei tanti dalle idee confuse. Così da marzo ho smesso di frequentare l'università.
La mia intenzione non è quella di abbandonare definitivamente gli studi, ma, dal momento che non è possibile effettuare trasferimenti ora come ora, mi ritrovo in una fase di stallo.
Va bene, confesso che me ne son stata un po' con le mani in mano, e ho buttato via diverse giornate nella nullafacenza, ma probabilmente la maggior parte delle persone al mio posto avrebbero fatto lo stesso. In fin dei conti, il non fare niente piace un po' a tutti. Tuttavia, per quanto io abbia apprezzato il mio periodo di grattamento di pancia, sono ben consapevole che il tempo perduto vada recuperato in qualche maniera. Ed è qui che la mia storia ha inizio.
L'idea di partenza era informarsi sul come mettersi avanti per l'anno prossimo, in modo da partire bene, risparmiando sul tempo e, perché no, facendo contenta anche la mamma. Oltretutto c'era la questione della seconda rata di tasse, di ben 1400 euro, che volevo trovare il sistema per non pagare.
Ho mandato una prima email spiegando la situazione, e la risposta è stata di presentarmi personalmente in orario di segreteria per discutere la questione.
Ho effettuato una migrazione verso la mia segreteria, ovvero in viale Morgagni. Da casa mia raggiungere Morgagni non è questione di cinque minuti: dal momento che la segreteria apriva alle 3 e chiudeva alle 4 e mezzo, e che volevo arrivare un po' prima per prendere un numero decente, sono dovuta partire da casa mia col treno all'una, scendere a Santa Maria Novella, prendere un autobus ed arrivare lì alle 2 e venti. Con già più di dieci persone in fila prima di me, per consegnare delle tesi di biologia.
Giunto il mio turno, sono stata liquidata in cinque minuti: per non pagare le tasse devi effettuare la rinuncia agli studi, ergo gli esami che hai fatto saranno annullati e non potrai fare esami liberi nel frattempo, e tu vuoi farli, non è vero? Altrimenti i tuoi soldi andranno sprecati.
Morale: non potevo effettuare alcun trasferimento, dovevo sborsare 1400 euro, chiedere alla mia futura facoltà se mi avrebbero concesso la grazia di riconoscermi gli esami liberi e poi tornare in segreteria e vedere cosa mi avrebbero detto.
A questo punto è cominciata la seconda fase del mio piano: mandare email su email per scoprire se e cosa potevo effettivamente fare. Intanto i 1400 euro venivano pagati.
Le risposte alle mie email erano di una stupidità sconcertante. Alla domanda, posta tre volte e in tre forme sempre più elementari, "E' possibile fare esami liberi mentre aspetto per poter effettuare il trasferimento?" è stato risposto, ben tre volte e in tre forme sempre più seccate, "Non può dare esami presso questa facoltà dal momento che non vi è iscritta". Il che non aveva molto a che fare con la mia domanda.
Alla fine, ho deciso di informarmi sugli esami liberi a prescindere dal loro futuro riconoscimento. In fondo, imparare qualcosa non mi avrebbe fatto male, e almeno i soldi non sarebbero stati buttati del tutto nel water.
Così, ho mandato l'ennesima email alla segreteria, chiedendo informazioni a riguardo.
La risposta, o almeno la sua parte più rilevante, merita di essere copiata e incollata qui pari pari:
A questo punto le conviene fare la rinuncia agli studi, compilando un modulo in Segreteria con una marca da bollo e riconsegnando il libretto universitario e poi quando aprono le iscrizioni fare l'immatricolazione ad un'altra Facoltà.
Ovvero: ormai hai pagato, pazienza, fai la rinuncia agli studi.
Sul sito dell'università non sono riuscita a trovare uno straccio di informazione.
Posso dire che mi sento lievemente presa per il culo?