martedì 26 ottobre 2010

Cattivissimo Me

Forse che Milton ci vuol dire che far del male è molto più divertente che far del bene?
-Donald Sutherland in Animal House

Credo che si siano sprecati fiumi di parole su cosa è buono e cosa è cattivo. I Super Migliori Amici lottavano a favore del bene contro il male-ad eccezione di Buddha, che non crede esista il male. E da ciò si può tirar fuori almeno qualche secolo di filosofia. Ma non è questo il punto.

Cattivissimo Me.
Gru, il cattivissimo, così cattivissimo da scoppiare i palloncini in faccia ai bambini, vuole rubare la Luna. Un atto cattivissimo. Ma per portare avanti il suo cattivissimo piano ha bisogno del raggio restringente, che però gli viene sottratto da Vector-protagonista mancato de La rivincita dei Nerd e The Big Bang Theory. Pertanto, per riuscire nella sua cattivissima impresa, il cattivissimo Gru è costretto a passare a ben più cattivissime armi. Così, cattivissimamente, adotta tre orfanelle per mettere dei biscobot nelle scatole di biscotti che venderanno a Vector, e gli sottrae così, sempre cattivissimamente, il raggio restringente.

Chi riesce ad indovinare tutto il resto del film?
E' facile: Gru, dopo i cinque minuti d'obbligo di cattivissima cattiveria ostentata, si innamora perdutamente delle bambine, con unicorni, saggi di danza e tutto il resto.
La trama, i personaggi, sono di una prevedibilità indescrivibile, a partire dai piccoli assistenti di Gru (pressoché identici agli alieni giocattolo di Toy Story) e a chiudere con la piccola Agnes (ricalcata da una Bu di Monsters&Co appena appena invecchiata).
E se vostro figlio col passare del tempo comincerà ad incrociare gli occhi fino a diventare strabico, forse non avreste dovuto portarlo a vedere tutti quei cartoni in 3D.

NOTA: non sono robot, ma ho menzionato gli unicorni. La catena di pensieri va avanti!

mercoledì 20 ottobre 2010

Collegamento di idee

Tanto per cominciare, mi hanno spiegato la differenza tra un remo e una pagaia.
Non che fosse questo il punto.

Ho fatto 39160 punti a Robot Unicorn Attack, e così ho scoperto che attack si scrive col -ck.
Attack era pure una canzone dei System of a Down, in Hypnotize. Traccia 1.
Il bassista dei SOAD aveva il pizzetto lunghissimo, una treccina, e un cognome che, con tutta la buona volontà del mondo, non sono mai riuscita ad imparare.
Anche Ciccio aveva provato a farsi crescere un pizzetto così, ma gli spuntava a ciuffi, a corna, e si spezzava.
Ad acluni uomini la barba cresce robusta, ad altri no.
E poi c'è il tipo che solleva 60 kg con la barba. Fa un record del mondo e soldi a palate.
Come il tipo che ingoia le palline da biliardo. Ma è un fake.
Invece il tipo senza gambe è vero.
Ce n'era uno così pure in Freaks, che non mi ricordo mai se ha il -ck oppure no, come attack.

La prossima volta magari vedo quanti passaggi ci vogliono per tornare agli unicorni robot.

martedì 5 ottobre 2010

Notevolmente più grosso, da guardare fissamente negli occhi

Comunichiamo continuamente. Tutti. Anche quando non ce ne rendiamo conto, così come non sempre ci rendiamo conto di cosa comunichiamo.
Il linguaggio non si ferma alla parola, ma è molto di più. Ci sono i gesti e tutto ciò che riguarda ciò che chiamiamo il linguaggio del corpo, e molto altro ancora. E' un campo che può apparire sconfinato, e affascinante.
Ma la parola è senz'altro ciò con cui tutti abbiamo più confidenza. Se si parla di linguaggio, si parla di parole. Di parlare. Tutti facciamo subito questo collegamento. Chi poi conosce l'argomento in maniera più approfondita può farne anche altri, ma questo vale certamente per tutti.
C'è una cosa però alla quale di solito non si pensa, ed è ciò su cui sto riflettendo ultimamente. Esiste un momento in cui sentiamo una parola per la prima volta. Il più delle volte è impossibile da ricordare, eppure deve essere avvenuto per forza. Una parola che prima per noi non esisteva.
Penso a vocaboli che non vengono usati comunemente, per un motivo o per un altro, dei quali però conosco il significato. E magari non li uso mai. Non ricordo nemmeno se li ho mai usati. Quando li ho sentiti per la prima volta? Come ho fatto a impararli?
Mi diverte cercare di ricordarlo. E, a volte, ci riesco.

Pagaia.
Non ho mai avuto a che fare in vita mia con una pagaia. Ne sono più che certa.
Ho sentito per la prima volta questo termine in un film, tanti anni fa. Forse non andavo neanche alle elementari.
Sono gli anni '90. E' il periodo in cui vado pazza per Marilyn Monroe. Per le bionde tettone in generale.
Mia madre torna a casa con una videocassetta. E' una di quelle che danno coi giornali o con le riviste, cose di cui ancora non so nulla, che per me servono sono ad ottenere videocassette a prezzi irrisori.
E' un film vecchio. C'è Marilyn. Si intitola Quando la moglie è in vacanza.
Non sono ancora abbastanza maliziosa per cogliere le sfumature della trama. Però capisco questo: la moglie del protagonista (Tom Ewell) è partita con le vacanze col figlio, il quale però ha dimenticato a casa qualcosa. Una pagaia.
Non riesco a capire perché non la chiamino remo, parola con cui invece ho familiarità. Non so che differenza ci sia. Ma collego il nome a quell'oggetto. Non lo sentirò più usare per almeno dieci anni.

E' curioso. E' divertente. Se mi sforzo, posso farlo con molti altri vocaboli, e anche con svariate espressioni, che mi rendo conto di non aver mai usato prima di trovarmi in un determinato luogo o di avere a che fare con una determinata persona.
Dietro ogni parola che usiamo potrebbe esserci una storia che abbiamo dimenticato, e che forse varrebbe la pena di ricordare. Sarà perché mi piace avere una storia per tutto. E per citare una frase celebre, di cui però non riesco a ritrovare le parole esatte, quando un uomo (o una donna) non ha più una storia da raccontare, allora è una persona morta.