venerdì 8 gennaio 2010

Estratti dal mio diario da Berlino

17 dicembre 2009, 11:59 p.m.
Fa un gran freddo a Berlino. Si vedono piccoli fiocchi di neve, o forse pezzetti di ghiaccio staccatisi da chissà dove, fluttuare nell'aria. Amo questa città, profondamente.
Alle 9 e 51 di sera ero fuori casa, diretta al Kaiser. Come si può non amare una città in cui i supermercati stanno aperti fino a mezzanotte?
[...]

19 dicembre 2009, 03:45 p.m.
Sembra sempre che la gente si lasci per motivi futili, piccolezze, oppure plusioni impellenti che non dovrebbero sovrastare l'amore.
E allora ci si dà di stronzo, troia, e così via. "Non mi ha mai amato, che schifo, ho solo sprecato il mio tempo..."
Cerchiamo di convincere gli altri o noi stessi?
Certo che si ama. E molto, anche.
Tutti amano veramente, anche chi non ci aspetteremmo mai possa farlo, anche chi ha buttato un rapporto così, senza un vero motivo apparente.
E poi lo guardi, un giorno, magari molto tempo dopo, e ti dice "Io la amavo", con una tale delicatezza, con uno sguardo così vero negli occhi che non puoi dubitare delle sue parole.
[...]
Vedi, la verità è questa, che ci si lascia per un semplice motivo, sempre lo stesso, che viene prima di qualunque cazzata si possa dire, fare o pensare: che quello che c'era non c'è più, che qualcosa si è spento, piano piano, così che non si è avuto nemmeno il tempo per accorgersene, e non si trova il modo di rialimentare la fiamma.
Dio, se fa male.
Basta.

21 dicembre 2009, 04:51 a.m.
Non ho sonno.
Amo questa città.
Amo il freddo, il ghiaccio, la neve, il cielo plumbeo, le mie mani screpolate, spaccate, la pelle secca.
Amo la gente, la parlata, i discorsi, le parole, gli occhi.
Amo essere me stessa, qui, ora. [...]
Amo lavorare, amo le tazze da caffé, le caraffine del latte, la lavastoviglie, il sapone concentrato, amo i tedeschi che ordinano un latte macchiato e poi una bruschetta.
Amo questa mia Berlino.
L'unica cosa che amassi più di te. Non voglio dimenticarlo, non voglio farlo mai più. Amo. Basta.

24 dicembre 2009 (ora sconosciuta perché la batteria del cellulare è morta)
[...]
Sono piccola. Forse sono La Piccola, non lo so, ma non sono grande come vorrei, e le mie esperienze possono paragonarsi ad un granello di sabbia. E' tutto immenso e io piccola. Mi piacerebbe pensare di aver finito di star male, e che le soluzioni che ho trovato possano funzionare, non solo ora, ma sempre. Non è detto neanche che funzionino adesso, ma quella è un'altra storia.
Non sono a posto, ci saranno altre batoste, e io non l'avevo pensato, il che è molto stupido, in effetti.
[...]
Le cose non si fermano mai, com'è che l'ho dimenticato? Il Mondo Convesso è fluido, instabile. Non come i gas nobili. Stupida chimica.
Sono stata da A., e sta di merda. A 35 anni non si è ancora finito di fare cazzate, non si è ancora finito di star male, anzi.
Come mai l'ho dimenticato?
"E' dura essere grandi-mi dice.
E' dura anche essere piccoli, comunque. Non sapere, non aver vissuto abbastanza, non capire il perché di certe regole. Non è sempre facile, e non è sempre divertente. Come star seduta qui adesso, senza sapere né il tempo né il luogo, né cosa fare.
Però la gente va e viene lo stesso, con le proprie valigie, i cappotti, i cappelli, va e viene. E' per questo che sono fatti gli snodi ferroviari. E se andassi a casa?
Cosa diceva Nina? [nota "postuma": si fa riferimento alla Nina de "Il Gabbiano" di Cechov] Che nella vita non è tanto importante la gloria, o la ricchezza, quanto saper soffrire e portare la propria croce? Che c'entra?
Le cose non si fermano mai. Devo smettere di pensare di aver risolto qualcosa, o continuerò a perdere tutto e ritrovarmi punto e a capo. Come con Enrico.
Buffo come questi meccanismi si somiglino sempre. Dal mio piccolo punto di vista non mi sembra che quello che sta passando A. adesso per via della donna che l'ha lasciato, a tre giorni dal suo compleanno e sotto le feste, sia poi così diverso da quello che ho passato io. [...]
Ma che posso sapere, io? Sono piccola. La Piccola.
C'era una striscia di Quino in cui Miguelito diceva: "Come posso essere piccolo? E' tutta la vita che non faccio altro che vivere!". La trovo una frase calzante.
[...]
Eh sì, hai ragione A., è dura essere grandi. Ma è dura anche essere piccoli. E volersi sentire grandi. E provare ad esserlo. E rimanere piccoli. Ai propri occhi. Agli occhi degli altri.
Ma che posso saperne, io?
Basta.

03 gennaio 2010, 02:20 a.m.
Ico, tu mi dicesti di amare una persona vera. Ed ero io. Forse l'hai dimenticato.
Ebbene, io oggi sono quella persona più che mai. Sono vera, sono viva, sono a 360 gradi, e non me ne vergogno più.
Chi mi vivrà ora dovrà vivermi cos', vera. Perché io sono vera.
Ma sono una taccola. Io sono La Taccola. Dò il mio cuore una sola volta, poiché ne ho solo uno.
Ormai il mio cuore è andato, e non mi è stato restituito ancora. Non sono stata svincolata dalle promesse che ho fatto. E io vorrei, vorrei tanto tornare ad amare, di nuovo, come fosse la prima volta, vorrei vivere e farmi vivere, così come sono, vera.
Ma sono una taccola.
Come faccio a infrangere questa promessa, che mi pesa, mi fa male, mi tarpa le ali e di cui per quanto mi sforzi non posso, non riesco a liberarmi?
Io voglio volare ancora. Ma le mie ali? Sono state tagliate le penne.
Ho aspettato. Ho aspettato a lungo che accadesse qualcosa, qualsiasi cosa, che ci mi aveva proibito di volare tornasse a raccogliermi. Non è accaduto.
Ora le penne cominciano a ricrescere, piccole, tenere, come germogli. Tento un volo sbilenco. Non lasciarmi cadere, tu hai le ali, sorreggimi.
Ma chi mi ridarà il mio cuore?
Non so se lo rivedrò mai più.
Quando potrò volare, volare davvero, ne cercherò uno nuovo, tutto per me, che mi scalderà ancora il petto.
Proverò ancora quel tepore. Qualcuno mi amerà. Ed io? Io sarò capace di amare? Si può amare ancora dopo aver donato il proprio cuore, ed essere rimasti con null'altro che un moncherino sanguinante?
Io so che voglio vivere tutto questo di nuovo, forse anche la sofferenza, se sarà necessarui, Quel che non so è se sarò in grado di farlo.
Io sono La Taccola. Dò il mio cuore una sola volta, poiché ne ho solo uno. Chissà se ti innamorerai di me.

04 gennaio 2010 12:41 p.m.
Ore gli incubi sembrano essere finiti, lasciando spazio a sogni più piacevoli. Chiudere gli occhi non fa più paura. Non molta, comunque.
Adesso posso chiudere i contatti.
In qualche modo, posso dire di avercela fatta. Si va punto e a capo.
Non ho scelto una strada facile, e i miei incubi ne sono prova. Ma adesso che sono passati so di avercela fatta. Posso perfino parlarne.
Quando tornerò a casa lo cancellerò da facebook, e tutto il resto. Non ne ho più bisogno. Che faccia ciò che vuole.
Pubblicherò finalmente il Raccontino Noir sul blog. Parlerò della Cosa-di-cui-non-si-può-parlare, e qualcuno ne avrà paura. Ma non ha importanza. Gli incubi sono finiti. Tutto questo non mi preoccupa più.
Ho una nuova voce che mi parla nell'orecchio, sembra quella di un folletto dispettoso, o un gremlin, come quelli che popolavano i miei racconti quando avevo tredici anni.
["I'd be rather a thertheen than a 13"]
Sto qui, seduta, ancora fuori dal Mondo Convesso, e lo guardo con occhi grandi, ingenui forse. Sono Piccola.
"Be'? Rientriamo?-mi chiede.
Non lo so. Guardo lo spettacolo di maschere e colori davanti a me, giochi di luce, i grandi illusionisti, sogni spezzati, le finzioni, i ruoli che la gente si dà. Forse è ancora presto. Forse mi piace più osservare che fare. O forse, semplicemente, non è questo ciò che voglio. Non lo so. So solo che ho tempo per pensarci, tutto il Tempo del mondo.
Almeno gli incubi sono finiti.
Parlerò della Cosa-di-cui-non-si-può-parlare. Punto.
E a capo.

06 gennaio 2010, 12:30 a.m.
Penultima notte a Berlino. Solita insonnia. Strano rumore raspante di sottofondo. Silenzio di neve fuori.
[...]
Ho chiamato Matteo. Ha una voce così rassicurante, mi piace sentirlo parlare. Anche se ormai l'effetto teraoeutico tranquillizzante è andato, sostituito dall'ansia di rivederlo. Che mi sta succedendo? Che mi è successo?
Mi guardo allo specchio e-incredibile-mi piaccio. Non mi sforzo più per sorridere. Gli occhi sono luminosi, e il viso non è più del solito color neon.
Quando sono qui i miracoli accadono. Come l'ossigeno che si trasforma in oro. [Citazione nerd, chi la può cogliere la colga].
Berlino per me è stata magica ancora una volta. Per questo la amo.
Adesso però ho una gran fretta di lasciarla, perché sento di aver qualcuno a cui tornare, e qualcuno con cui vorrei tornare qua, a fargli vedere questa magia.
[...]
Quello che abbiamo in mano adesso è un grande desiderio, una passione disordinata e cieca, probabilmente tipica della nostra età. E poi?
Poi si starà a vedere. C'è Tempo.
Tutto il Tempo del mondo.

11:15 p.m.
Ultima notte a Berlino.
Ho salitato i colleghi al Malatesta, i pochi che c'erano. In questi giorni c'è calma piatta.
[...]
Ho saltato sulle valigie per chiuderle. La piccola sembra che stia per esplodere. Speriamo la cerniera tenga.
Matteo è riuscito a farsi cambiare il turno, e per le 3 dovrebbe esser fuori. Domani ci vediamo. Sfrush.
Mi sa che ho sbagliato, e che la parola di Gipi era "frush", senza "s". Ma ormai "sfrush" è la mia. Sa più di gattina che fa le fusa. Forse è più adatta a me.
Devo dormire. Domani mi devo alzare presto. Ma non ho sonno. Come al solito.
Chiuderò gli occhi e penserò. Penserò a domani. E poi suonerà la sveglia.

Nessun commento:

Posta un commento