lunedì 25 gennaio 2010

Sogno

I miei hanno fatto le valigie. Partono per qualche giorno.
Le solite parole di raccomandazione, il cane, la stufa, la spesa, l'aspirapolvere. Tutto come al solito.
La porta si chiude. Rimango da sola.
Vado a letto, mi stendo, mi addormento.
Un rumore accanto alla mia testa mi risveglia nel cuore della notte. Mi giro con fatica, e vedo un gatto, che con le unghie sta sfilacciando una mia vecchia borsa, comprata ormai otto anni fa, in un porto, in Norvegia. Un gatto tigrato. Grigio. Un po' grassottello.
Capisco subito che si tratta di una bestia dotata di un caratteraccio. Nonostante i miei sforzi per impedirglielo, continua ad afferrare tra le zampe e a ridurre in pezzi tutto ciò che trova. Ha un'espressione dura, cattiva, aggressiva, e mi fa paura.
Quando cerco di buttarlo fuori lanciandogli contro un'altro gatto, bianco e marrone, molto più affettuoso-venuto fuori da chissà dove-il distruttore felino si alza in piedi, diventando altissimo e magrissimo, e per di più rosso.
Dall'alto della sua nuova postura, il gatto mi parla: "Sono stato mandato qui dall'Inferno. Ho il compito di aiutarti. Domani farai qualcosa di molto stupido, e morirai. Sono qui per impedire che questo accada."
La storia del gatto infernale non mi convince, vorrei solo che se ne andasse. Però voglio essere sicura di non correre rischi. Gli chiedo di dirmi che fare e di andarsene, ma non vuole rivelarmi niente. Alla fine, lo butto fuori. Saprò cavarmela.
Intanto si è fatto giorno.
Qualcuno suona alla porta. Memore dell'avvertimento del gatto, guardo dalla finestra prima di aprire. Vedo una macchina, e dentro ci sono tre uomini sconosciuti. Capisco subito che non è il caso di aprire. Ma ho paura, e mi sento in trappola. Vado alla finestra dal lato opposto della casa: voglio saltare giù e cercare aiuto. Con me, c'è il mio cane. Non voglio lasciarlo solo. Ma non riesco a convincerlo a saltare-e d'altronde, come potrebbe?
Così compio la mia evasione da sola. Mi accorgo subito però che i tre uomini stanno cercando un modo per entrare in casa. Ho paura che facciano del male al mio cane. Anzi, ne sono certa. Così, torno indietro.
Mi vedono. Non so come comportarmi. Sono in preda al panico. Talmente in preda al panico che apro la porta e li lascio entrare. Che cosa stupida.
Non sono solo tre. Sono una banda intera.
Si riversano in casa e cominciano a smantellare tutto. Portano via tutto. E io glielo lascio fare. Anzi, dò loro una mano, cerco di essere gentile. Ho troppa paura.
Ho paura che mi facciano qualcosa. Ho paura di quello che mi ha detto il gatto.
Voglio solo che se ne vadano. Voglio solo che finisca.
Vedo il gatto affacciato alla finestra, con altri due gatti. Però adesso è giallo.
Lo chiamo e gli chiedo cosa devo fare.
"Semplicissimo,-dice lui-devi solo andare là e parlargli dell'Amore. Se ne andranno."
Dell'Amore? E che potrei mai dirgli?
Ma il gatto non vuole aggiungere altro.
"Basta che tu parli loro dell'Amore. E' semplice."
Penso a Gipi, quando ne LMVDM fa un discorso simile. Ma non c'era nessun gatto. C'era un orso che diceva sempre "cazzo". E non gli stavano rubando pure le sedie da sotto il culo. Che dovrei fare, io?
Cerco di attirare l'attenzione, mentre sto ancora pensando a cosa dire, ma non ci riesco molto bene, e solo tre uomini mi ascoltano, mentre io balbetto qualcosa di incongruente sulle ambizioni personali, sulla famiglia e qualche altra banalità del genere.
Poi mi accorgo che un tizio alto, magro, con la bandana, sta spargendo una specie di colla liquida sul tavolo, con un piccolo pennello.
"Eh no,-dico-il tavolo no! L'ha fatto un amico dei miei genitori, almeno quello lo lasciate stare!"
E allora un alro tizio, una gran faccia da schiaffi, che ha tutta l'aria di essere il capo della situazione, mi guarda, con aria quasi di sfida, e ordina: "Portate via il tavolo."
E allora io mi incazzo.
La banda, per qualche inspiegabile motivo, ha riempito casa mia di mac, ciascuno si è portato il suo, e non posso voltarmi senza vederne almeno uno.
Io non sopporto i mac. Mi dispiace Matteo, mi dispiace Giulia, mi dispiace sostenitori della Apple, ma io e il mac non siamo mai andati d'accordo. Forse perché mi riconosco più in Windows e tutti i suoi accartocciamenti, incastri e inghippi. Evidentemente, tra me e il mac non era destino.
Prendo un mac e lo sbatto per terra. Che sensazione sublime.
Volete portarmi via il tavolo? Benissimo!
Sbam! Altri due mac che volano giù, in un sol colpo.
Chi se ne frega delle conseguenze. Mi sono stancata.
E così, uno dopo l'altro, tutti i mac se ne vanno a terra, e non completamente soddisfatta comincio anche a calpestarli, per essere sicura che siano proprio rotti bene.
E ora fatemi a pezzi. Coraggio.
Incredibile: in modo quasi ordinato gli invasori se ne vanno, e per di più in silenzio. Ho riconquistato la casa. Alla faccia di quello stupido gatto.
La porta si chiude, e rimaniamo solo io e lei.
Non so chi sia, ma so di conoscerla bene.
E' bellissima. Perfetta. Non può essere vera. Non può essere mia.
Faccio qualche passo verso di lei. Mi bacia. Facciamo l'amore.
Dovrei chiamare il Polly, avevo detto che lo chiamavo, giusto?
Ma chi se ne importa adesso. Va tutto bene. Non ho bisogno d'altro.
E poi mi sveglio. L'immagine sbiadisce, il senso di calore svanisce nel nulla.
E non ho il coraggio di alzarmi da questo letto.

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